Non c’è niente che suoni morbido, mite, dolce nella vittoria, provare anche solo a bisbigliarla la vittoria e capirete, figuriamoci a giubilarla, a gridarla. Dai, provate a gridarla la belluina combinazione di sonante labiale, esplosiva dentale e vibrante alveolare, VITTORIA!! Ci trovate qualcosa di accomodante, distensivo, pacificato? C’è in quel suono un qualche segno del placarsi delle battagliere emozioni che hanno portato alla VITTORIA? No. E infatti il significato originario di victoria e del suo verbo, cavato dalla radice antica vik, è superare, dominare, capovolgere, forzare, rovesciare con atto di forza, uccidere, è l’esito fausto del combattimento, parente stretto di vincire, legare, da cui il vinculum, la catena, e il victus, che è il nemico incatenato. Quindi non fingiamo, non serve, e se esultiamo vittoria, se tendiamo in alto, esausti e frementi, la forca della V, è perché abbiamo forzato, rovesciato e incatenato la storia, il destino, l’avverso, il nemico; e più l’esito ci appare inaspettato, più è stato cruento l’agone. E tutto questo è dell’umano, dell’umana, ferina vicenda. E sì, Joe Biden può anche sembrare un Pisolo; già, così come il re Davide assomigliava a un fricchettone, fatta salva la crudele determinazione nel combattere, la spigliatezza con cui mozzava teste e poi escogitava spregiudicate soluzioni bipartisan. E sì, l’unto è entrato in Gerusalemme cantando e ballando nudo come mamma l’ha fatto, e così ci piace anche a noi pensare di entrare in Washington, ma è necessario che nel corteo ci sia qualcuno in catene, e Trump lo sa.