Dal latino super stare, stare sopra. Stare è una parola antichissima, la sua radice è stha, e ha il significato di arrestarsi, fermarsi, in quanto azione di valore momentaneo. Ciò vuol dire che sopra cosa o chi il superstite sta, lo è solo al momento, il suo stare non è definitivo. E questa è la condizione del superstite, la disgraziata natura del suo esistere, un esistere precario. Il superstite sta sopra una guerra, un’epidemia, un terremoto, un naufragio, sta sopra le vittime della guerra, i dispersi del terremoto, gli affogati del naufragio, si arresta lì, sopra tutti e tutto questo, e la fatica del suo vivere è nel riuscire a non andare da nessun’altra parte, perché altrimenti nel suo incerto equilibrio rischierebbe di tornare sotto, dentro. Per spiegarmi vi parlo di mio padre. Quell’uomo ha fatto la guerra d’Africa, tutta finché dopo El Alamein fu fortunosamente rimpatriato in fin di vita; si riprese in tempo per l’Otto Settembre, quel giorno partì da Roma e prese la strada per tornarsene a casa, ci mise un anno e mezzo e per quel tempo partecipò alla resistenza armata. Ecco, mio padre non ha mai usato la parola reduce, ma si è sempre definito un superstite. Non che si intendesse di etimi, ma per tutto il resto della sua vita non fece che impedirsi di tornare laggiù, nel fondo dell’orrore, dove lo chiamava ciò che aveva lasciato per risalire sopra, gli infiniti morti, le infinite distruzioni. Considerate dunque sotto questa luce i superstiti che ogni giorno si presentano ai vostri occhi e al vostro giudizio, considerate che la loro disgrazia non ha fine.