Dimmi te se questa è vita. Sono seimila anni che usiamo la stressa radice per scrivere vita, vita che vuol dire soltanto vita e non ha altra origine, un suono che non dice nient’altro che il suo suono, e siamo ancora lì a chiederci se la vita è vita. Da bambino credevo che tutto quanto fosse vivo, anche i sassi del fiume, visto che un giorno li trovavi lì e un altro giorno là, così come i sogni erano vita, e la strega che arrivava di notte a portarmi la febbre, era vivo il coltello che rubavo dalla cucina per fare una fionda con una forcella di frassino, e il frassino, naturalmente, che piangeva mentre che lo scortecciavo. Credevo che siccome ogni cosa era viva, lo era anche la morte, e infatti la morte la vedevo, e era brutta da morire, ma poi non così brutta come la vecchia Iside che aveva tutta la faccia piena di bubboni che sembrava una fungaia; ma anche la Iside era del mondo, e dunque viva, come la paura. Certo, mi dispiaceva se qualcosa di vivo poi moriva, come ad esempio il mio coniglio preferito, ma siccome poi quando l’ho mangiato era buono, il lutto si consumava in fretta, c’era ancora un’infinità di cose vive e io tra loro. Credo che sia stato l’obbligo dell’istruzione a mettermi sulla cattiva strada delle domande senza risposta, che non sono neanche domande visto che non hanno risposta. Ma proprio in questo momento ho avuto finalmente l’illuminazione; i latini dicevano victus, vitto, per indicare il modo di vivere. Dunque, nel dubbio, guarda quello che mangi e capirai almeno cos’è la tua vita.