Sono non pochi secoli che dolentemente ci diciamo che la prima vittima della guerra ò la verità. Mi chiedo allora perché in questi giorni di guerra stiamo tutti quanti appiccicati ai media, persino i giornali di carta ora vendono di più, a smaniare per sapere. Sapere che se non c’è verità nel tempo di guerra? Lo so io perché, basta risalire alla fonte. Vero, dal latino verus che poi declina in verità, veritas. Di questa parola di vitale importanza se ne è lungo ignorata l’origine, finché non si è volto lo sguardo alle sterminate steppe dell’est, e si viene così a sapere che l’antico slavo ha vera, e vera è la fede, o se vogliamo il maschile, il credo. Di un qualche attualissimo riguardo è constatare che vera è stata ereditata tale e quale dal russo moderno, tant’è che ne ha fatto anche un diffusissimo nome proprio; per verità i russi usano un’altra parola, pravda. Ecco dunque da dove viene la verità, da ciò in cui abbiamo fede, nient’altro che il nostro credo. E questo spiega molto, forse tutto; ci dice che la verità, quell’idea di verità che spesso amiamo scandire con la maiuscola, è un’illusione, una mistificazione, una fregatura. Che non ce n’è mai una sola, così che ci possa salvare, ma tante quanto sono le fedi; e quella là, quella verità maiuscola non è che la favola bella che ieri ci illuse e oggi ci illude cara la mia Ermione. Per amor di completezza dirò che una corrente minoritaria sostiene l’origine nell’accadico berum, ovvero ciò che si rivela al veggente. Il che sarebbe a dir poco raccapricciante.