Adesso siamo tutti quanti qui a dargli del sostantivo, ma in verità vaccino è aggettivo che attiene alla vacca, latte vaccino, formaggio vaccino, siero di pustola di vaiolo vaccino. Da quel siero, per pura comodità di sintesi, l’aggettivo si è traslato in sostantivo, e su questo che altro dire che già non si sa. Si sa poco invece del sostantivo vacca. È una parola così antica la vacca, che si confonde e si perde nei meandri dell’etimo. Sappiamo che è un’antichissima parola italica, tale e quale, che prima era un’antichissima parola del sanscrito vedico, tale e quale, e prima ancora ha forse radice accadica in vasum che vuol dire venir fuori, sgorgare, radice che è arrivata fin qui come vaso, il recipiente da cui sgorga sempre qualcosa, e in effetti le poppe della vacca sono un gran vaso da cui sgorga il latte. Vista dal vasum la vacca non è che un recipiente, e siccome è inscritto nei sacri veda, è un recipiente sacro, come in India in molti continuano a vederla, ben protetta dall’articolo 48 della costituzione di quel paese. Ma la radice remota potrebbe essere invece in vacati, gridare, e conseguentemente muggire, oppure in vaks, crescere, o addirittura discendente da vah, portare, e allora la vacca avrebbe lo stesso etimo di veicolo. In ogni caso la vacca ci porta diritto al vaccino come sostantivo così come lo pronunciamo tutti i santi giorni: quel latte che bramiamo veder sgorgare dalle poppe del governo e lo vorremmo veder crescere a vista d’occhio intanto che ce lo veicolano, intanto che continuiamo a muggire di ansia e sfinimento.