Homo, hominis, sostantivo maschile, terza declinazione. Sì, però, quanto maschio c’è nell’uomo? Dipende da quanto ce se ne vuol mettere. I latini al riguardo erano incerti, gravidi di una civiltà sessualmente complicata, erano per lo più propensi per l’indeterminatezza. Ad esempio il vecchio Girolamo, IV sec., intellettuale di costumi controversi, fatto santo per aver tradotto in latino popolare i testi biblici nella sua famosa opera detta appunto Vulgata, recita nel suo Genesis, Et creavit Deus hominem ad imaginem suam; ad imaginem Dei creavit illum, masculum et feminam creavit eos. Il testo è rimasto tale in tutte le ulteriori traduzioni in qualsivoglia lingua; almeno per i credenti, l’uomo è maschio e femmina. E questo sin dall’originale ebraico, in quella lingua adam, uomo, è singolare collettivo. In effetti, a voler essere precisi, la traduzione corretta di adam sarebbe non uomo, ma umanità, e Iddio creò l’umanità e la creò maschio e femmina. Difficile dire se il primevo e ispirato estensore intendeva maschio e femmina distinti o tutt’uno. Comunque sia, seguendo la tradizione della Bibbia, e di gran parte dei miti di creazione, iddio ha creato l’uomo dalla terra, e dunque è ovvio che l’etimo di homo è humus, terra appunto. Che è sostantivo femminile. L’uomo è di terra, l’uomo è del femminile. Il che non è facilmente digeribile, e così c’è chi oppone il maschio etimo sumero umum, signore, da cui l’accadico ummanu, colto, competente, istruito, raffinato. E da lì, tuto in discesa, uomini, mezzi uomini, ominicchi, quaquaraqua.