Il 12 marzo scorso ponevo all’attenzione dei lettori questo lemma, data la situazione di due mesi or sono sembrava di una qualche attualità. Non mi dilungherò nel ripetermi, l’archivio di questo giornale è a disposizione per chi volesse rileggersi tutto quanto, dirò solo che s’era in quaresima e ricordavo come mille anni fa, in piena belligeranza tra il Barbarossa e i liberi comuni d’Italia, papa Alessandro instituì la prima tregua mondiale, dove il mondo era circoscritto alla cristianità, stabilendo nel contempo la pena per i trasgressori, la scomunica. La cosa funzionò, l’inferno a quel tempo era una minaccia di un peso superiore a qualsiasi ambizione di vittoria, e per ben cinquant’anni non si ebbero in Europa conflitti di un qualche rilievo. A marzo tregua era una parola corrente, la bugia più diffusa e pietosa, la più comune delle vane esortazioni, ma nel cuore fiorito di maggio, la tregua si è inabissata nella voragine della infedeltà, perché questo la tregua pretende, è lì nella sua gotica radice treuwa, fede, fidarsi. Nessuno si fida di nessuno, e allora abbiamo preso ad accontentarci di un termine con poca storia e pretese, cessate il fuoco. Un sostantivo, può anche essere scritto tutto attaccato, figliato da un imperativo. Un imperativo non chiede né fede, né speranza e neppure carità, un imperativo è un ordine e basta. Un ordine che in tanti sono disposti volentieri a dare; senonché c’è un intoppo che, seppur squisitamente linguistico, crea pesanti e detrimenti interdetti. Cessate è plurale.