Dal latino sub vertere, volgere sotto, un po’ equivoco a meno che volgere non lo si intenda nel senso più prosaico, così da pensare che sovvertire è un po’ come mettersi lì sotto sotto a rimestare. Rimestare cosa? L’ordine costituito, la convenzione pattuita, la consuetudine affermata, la morale consolidata, le istituzioni suffragate, cose così; il potere in tutte le sue sembianze, tra cui le parole, la lingua del potere. Sovversione, sovversivo, sono parole tipicamente del potere, servono a definire i suoi nemici più accreditati, i nemici del vertere, che indica spregiativamente come mestatori, rimestatori. Per avere un’idea dell’alta considerazione che il potere ha del suo volgere basterà andare alla sua radice remota wert, con il significato di volgere in senso verticale, da cui il sanscrito vartate, che è il movimento della ruota, e da lì in tutta l’area germanica werden, che è il divenire. Aggiungasi che in latino sub è sì sotto, ma all’origine sumerica sub è buttar giù, mettere sotto, così che il sovversivo diviene colui che demolisce l’avvenire, l’unico divenire possibile, quello stabilito dal potere. Scrivo questo perché voglio ricordare che cinquant’anni fa come oggi moriva nelle carceri di Pisa, ammazzato di botte dai suoi custodi, un ragazzo di vent’anni a nome Franco Serantini, anarchico. Reo di aver partecipato a una manifestazione politica fu arrestato e classificato come sovversivo, non piacque la sua risposta “andai perché ci si crede”. Non ci fu e non c’è e non ci sarà mai giustizia per quel ragazzo, nato orfano sarà orfano in eterno se non ci si ricorda almeno il suo nome.