Il vostro parlare sia “sì, si”, “no, no”, il resto viene dal maligno; Matteo, 5.37. Ha vinto il sì, ha perso il no, il resto è faccenda del maligno. Se volessimo compendiare la nostra corrente vita in un calendario referendario, il maligno sparirebbe dalla faccia della terra. Il maligno c’è, ci sono i riscontri, e se c’è vuol dire che ci viene comodo; la cosa più comoda del maligno è “non saprei”, meglio ancora “non so, dovrei pensarci”. Per questo sono contento di vivere a Faenza dove il 70,2 per cento gli aventi diritto ha rifiutato il maligno e si è espresso per il sì e per il no, mi fa sentire al sicuro, con l’anima ben al riparo. Ha vinto il sì. In verità allorché si è imboccata la santa strada del “sì, sì”, “no, no”, è più facile dire di sì. Il sì ha una radice talmente remota che è di fatto universale, il dolce sì suona dall’Indo a Gibilterra dai tempi sumerici; eccezion fatta ovviamente per l’area crucco sassone del yes, ja, che per altro ha radice oscura. E il sì è proprio bello e inequivoco, è sic, così è, questo è. È più difficile dire no, il no non si sa neppure da dove viene. Ci accontentiamo del latino antico noenum, ne oinom, non uno, niente, nessuno, vuoto. Non che sia brutto, cosa mai ci può essere di brutto, e pur essendo di origini ignote è altrettanto universale, ma non suona dolce, quella n ha bisogno dei denti e i denti non emanano dolcezza. Personalmente non mi tiro indietro se c’è da dire di no, ma, seguendo il pio esempio di Bartleby lo scrivano, addolcisco la dentale con una bella p bilabiale, preferirei di no.