Resistenza, dal latino resistentia, che premette l’oppositivo rafforzativo re all’antica radice stha, essere fermo, saldo; quindi, contrastare, opporsi con forza. C’è poco da spiegare, resistenza dei corpi, dei materiali, degli spiriti. Ho notato una certa stranezza in questi ultimi anni, la parola resistenza è sempre meno frequentata; certo, resiste, appunto, in particolare tra gli elettricisti, ma è andata man mano scemando nella colloquialità, in particolare nella colloquialità pubblica, colta o quasi colta. Tra chi ha opinioni, spiegazioni, tesi da esporre, tra chiunque pensi di avere qualcosa in più e in meglio da dire e ha modo di estrinsecarsi a mezzo dei media, noto un qualche pudore, come se resistere fosse un po’ banale, un tantino troppo popolare. E si è trovato un sinonimo diventato di gran moda come sostituto alla resistenza degli spiriti, che anche al suono appare più elegante, al dirsi vellutato di esotica raffinatezza, resilienza. Resilienza è un termine tecnico coniato intorno a un secolo addietro per gli ingegneri e i sistemisti; discende dal latino resilire, restringersi, contrarsi, rimbalzare, figuratamente, desistere, rinunciare, abbandonare. Dunque non un sinonimo, ma un contrario di resistenza. Singolare. E così colgo l’occasione per ricordare in questi giorni in cui ricorre la festa della Liberazione del Paese dal dominio del nazifascismo, che tale liberazione fu il frutto della Resistenza di popolo e non di resilienza. Questo, casomai qualcuno fosse indotto nell’equivoco.