Il potere è tutto e tutto è potere, e questo è un buon modo, pratico, efficiente, per descrivere l’universo intero. Potere è possedere, possedere è potere, è così che vanno le cose ovunque volgi lo sguardo. C’è, parlo di noi indoeuropei, una sola radice ancestrale per tutto quanto, ed è pa, e da pa ogni cosa deriva circa il potere e il possesso, stare sopra, stare contro, signore, padrone, potente, e anche sposo, sì, anche sposo. I greci, i soliti ruffiani del destino, hanno astutamente generato posis, che vuol dire dominare, ma anche proteggere, che vuol dire colui che può, ma anche colui che è responsabile; un germe di socialdemocrazia, potere dal volto umano. Ma a me non basta il posis. Io cerco e non gli trovo un aggettivo che lo possa declinare, anche uno solo; non c’è un potere buono e uno cattivo, non c’è quello giusto e l’altro ingiusto, c’è solo potere, il potere. E il potere ha una mano sola, e la sua mano è il possesso. E non ci sono aggettivi nemmeno per questo; non c’è possesso congruo che si opponga all’incongruo, non ce n’è di lieve che sfidi l’opprimente, il possesso non è altro che possesso. E chi può in coscienza dire, io mi sottraggo? Non c’è altro universo possibile e non c’è posto fuori dall’universo. Ma io non ci credo e non ci sto in quest’universo, e vado fantasticando di un altro, erede in miseria di molti millenni di vana opposizione allo stato universale delle cose. Eppure, se c’è un dio, e non dispero, allora l’universo non è uno, ma molti, forse infiniti, e non mi importa che siano al di là dell’orizzonte del mio tempo.