La parola è similitudine, è confronto, e infatti viene diritta dal latino parabola, trascritto dal greco parabolé, che questo vogliono dire. La parola è specchio, e nella natura dello specchio è l’imperfezione, non c’è un altro me nello specchio, ma solo una qualche immagine di me. La parola sta dirimpetto a ciò che è, a ciò che accade, a ciò che non è e non accade, e lo pensa, lo dice, lo rappresenta per quello che può, per quello che io posso, e se io fossi la ragione stessa dell’universo, allora potrei dire che al principio era il verbo, altrimenti al principio era l’universo e poi sono venute le parole per dirlo, tantissime, ma mai abbastanza. Eppure le parole sono tutto quello che abbiamo, l’unica risorsa che possediamo, per farcene una ragione di tutto quanto. È per questo che la parola si è fatta sacra. Tengo questa rubrica non ricordo da quanto ormai, e di parole ne prendo una alla volta. e cerco di maneggiarle con qualche accortezza, perché come gli specchi se ti si rompono portano male; ma so che non si è mai abbastanza accorti, che l’ideale sarebbe attaccarle al muro con dei bei chiodi e guardarle non troppo da vicino, come con gli specchi più sensibili, quelli che ti parlano quando gli chiedi. Oppure custodirle in un tabernacolo, come si conviene al sacro, ostenderle nei momenti più elevati e offrirle. Se la osserviamo dall’alto dei cieli la parola non è che suono, nient’altro che segno graffito, ma se la consideriamo qui tra noi, la parola è potere, è destino, è schiavitù, così delicata com’è da maneggiare, così pericolosa quando la lasciamo cadere a terra, o, peggio che mai, ci si frantuma tra le nostre zozze mani.