Non c’è niente di complicato, intrigante, remoto e dubitoso in questa parola; panico è tutto ciò che viene e che è del e dal dio Pan. Dal greco Πάν, pascolare, infatti Pan è l’unico dio che non vive nell’Olimpo ma se ne sta in giro per i boschi, monti e le campagne, senza fissa dimora perché la sua dimora è ovunque ci sia vita selvatica, libera e primeva. E non sarà un caso che Πάν suoni come πᾶν, ovvero come il tutto, perché il dio Pan è questo, è tutto, tutto quello che non è addomesticato e addomesticabile, tutto tranne quello che è ragionevole, adatto, regolare, normato, civile, morale. In pratica tutto ciò di cui noi, che siamo persone perbene, abbiamo timore perché ci attrae e ci attrae perché ne abbiamo timore. In specie per noi che non possiamo non dirci cristiani, Pan si è fatto Satana, cornuto caprino, caudato, pur sempre creatura divina, recuperato senza fantasia dal mito pagano e risotto a orrida macchietta. Ma resta tenace, laggiù in fondo, tra precordio e interiore/a, fin troppo vivo e insistente, l’originale, il dio selvaggio e irresponsabile. Rabbioso, che il suo grido di dispetto è così terrifico da spaventare lui stesso, dolce, che il suono della sua siringa ammalia fino al mancamento; scanzonato e permaloso, propizio e nefasto, indecente sessuomane, ammaliatore di silvestre grazia e stupratore ferino, etero, bi e tri sessuale, che quando altro non ha, vaga per i deserti campi a smanettarsi il pisello senza riguardo. Guai dunque a farsi prendere dal panico, il timor panico e la panica possessione sono orrifico spavento e indicibile, indecente desiderio, intercambiabili e assieme.