Per uno come me, così vecchio che se voleva giocare a pallone l’unico posto buono era il campetto dell’oratorio, e quel campetto era di uso esclusivo per i ragazzi devoti al servizio di chierichetto, la palla era prima di tutto il lindo, cencetto di lino che copriva il calice dove al culmine della messa il vino si sarebbe transustanziato nel sangue di nostro signore; guai anche a solo sfiorarla la santa palla con mani meno che purissime, e era certissimo che nessun chierichetto, compreso il sottoscritto, potessero vantare tanta purezza. A quel tempo contemplavo esterrefatto il misterioso collegamento tra il sacro fazzoletto e il malmesso pallone di cuoio che il prete con tanta avarizia concedeva all’uso, oggi so che palla era in latino quella specie di toga che indossavano le antiche signore romane, da cui o per cui il pallium, il drappo di lana da indossare alla moda greca, e poi il vessillo, il ben noto stendardo da mettere in palio, appunto, per il vincitore di qualsivoglia magnifica o tremenda gara, battaglia, torneo. Il tutto dalla remota radice pan, con il significato di stendere, spiegare. E in tutto questo la palla e il pallone non c’entrano proprio niente, visto che palla, o balla, nel senso sferico del termine sono puro e semplice germanico. Vuol forse dire che i latini non giocavano a pallone e i germani sì? No, Svetonio scrive che persino Cesare Augusto giocava a palla, e lo faceva per rilassarsi dopo le sue innumeri battaglie, solo che non era la palla ma la pila. Così ci è chiaro perché i tedeschi si giocano i mondiali di pallone e gli italiani no, gli italiani vanno ai mondiali di pila.