Sarà perché ci sono nato ma a me piace il paese, piace in persino con la P maiuscola. Il Paese; sì, mi ci trovo bene a essere un paesano, e mi accontento di vivere in un Paese che non si può ancora dire nazione -la Nazione ha avuto la sua voce nel marzo dello scorso anno, nel caso consultare- eppure ha una sua ragione, un qualcosa anche nel suono che ricorda una patria. Per questo non sono un patriota, la penso come Mazzini e ha senso essere patrioti solo se non si ha una patria, ma come paesano e Paesano, mi basta ciò che ho per sentirmi parte, parte ha un suono così vicino a patria, anche se patria ha un etimo assai distante da paese. Paese viene da pagus, borgo, villaggio, l’Italia dei cento, dei mille, borghi per l’appunto. Che per la verità raramente si sentono parte, ma capita, e allora il Paese è qualcosa di meglio di un vasto territorio densamente popolato. Può dire qualcosa della tempra conservatrice di questo mio Paese che paganus, pagano, nasca da pagus, perché era nei villaggi che nel tardo impero restavano ancora vivi gli antichi dei e i consueti riti. Ma dice di più il fatto che pagus abbia la sua origine nel latino arcaico paco, accordo, a sua volta legato alla radice accadica pa, la stessa radice di pace. Perché la pace è sempre e solo originata da un accordo. È proprio bello scoprire persino in questo tempo che un Paese e un Paesano abbiano la ragione di essere nell’accordo, nella pace.