Cos’è mai la pace, chi l’ha mai vista la pace? Dal vivo intendo, non nei discorsi, non nelle visioni, non nei documenti. Starsene in pace, conoscete qualcuno che sa dirmi senza arrossire che se ne sta in santa pace? Senza aberrare, senza traviare, senza pervertire quella santa parola. Pace. Vorrei avere il tempo per fare una grande ricerca negli archivi dell’universale storia umana, ma sarebbe solo constatare quello che già so per certo, che pace è la parola preferita di chi intende guerra, dissidio, rovina, sulla bocca e sulle carte dei generali, dei presidenti, dei dittatori, dei fomentatori, degli armieri. Io non sono in pace, non sto in pace e non trovo pace, e per questo non mi do mai pace. E evito di pronunciare la parola, si conta in decenni l’ultima volta che mi è uscita di bocca. Ho conosciuto un prete al tempo della guerra di Kossovo, guerra di pace, che mi ha confessato di non sentirsela più di concludere la messa con il rituale “andate in pace” perché non vedeva in che modo potessero farlo, preferiva implorarli con “andate a cercare la pace”. C’è forse tra loro qualcuno che l’ha trovata? La pace è legame, la sua remota radice è nel sanscrito pak, che è corda e stringimento, quindi unire e quindi pattuire; i latini tenevano pax nella famiglia di pangere, piantare. E sì, la pace dovrebbe essere questo, unire e piantare, seminare assieme. Stringere pace tra noi e stringerla tra me e me, come mettere a dimora una pianta che cresce, che cresce, che cresce e dura più di me, più di noi. Ed è ancora un discorso, una visione.