Ordo, ordinis, l’ordine dei fili della trama nella tessitura, da cui ordito. Non ci sono dubbi sulla provenienza dall’accadico haradu, tessere, intrecciare stuoie, ma con il tempo i latini ampliano il concetto di ordito fino a ornato, del resto che altro si può dire di una tela ben tessuta se non che sia di ornamento?  E così prende un certo qual senso l’encomiabile DeVoto che si sbilancia nel pur vaghissimo richiamo alla radice remota are, arte. E già, l’ordine è arte, l’arte di tessere, di intrecciare, quella laboriosa, finissima e antichissima arte di ordinare milioni di fili di diverso colore, nelle tessiture più sofisticate al limite dell’invisibile, in un disegno che può anche essere di estrema complessità, ricco di figure e astrazioni, simbolismi scenografici, e tutto quanto potete vedere in un tappeto o in una veste. E quest’ordine mi piace, mi piace tantissimo; sogno da tutta una vita di non essere altro che questo, il comporsi in un disegno che sia ornamento all’essere, ambisco da sempre che la trama della mia vita si possa ordinatamente intrecciare e comporre nello stupefacente disegno dell’universo. E questa è arte di squisita laboriosità e di urgente necessità, l’arte del vivere, del vivere personale e del vivere sociale, economico e politico. Considerino i lettori se l’ordine, gli ordini, gli ordinamenti oggi vigenti o auspicati, se dare ordini e mettere ordine così come è inteso dalle autorità preposte, abbiano una qualche relazione con quanto sopraddetto.