Da radice indoeuropea per irrompere, respingere, allontanare. Quindi, repulsione. Ammesso, ma non a tutti concesso, che mi sia data la facoltà di amare, ora gradirei il diritto ad odiare. E cortesemente pregherei di non starmi addosso mentre mi dedico al legittimo esercizio spirituale del nobile sentimento dell’odio. Al momento mi repelle, e dunque respingo e intendo irrompere in, di fatto odio, cito a memoria: l’accumulazione di beni a causa dell’indebito sfruttamento del lavoro altrui, l’arroganza, l’apericena, l’autoritarismo, la discriminazione per classe, sesso, cultura e religione, il fascismo in ogni sua declinazione ereditaria e imitativa, l’ignoranza, l’indifferenza, l’ipocrisia, la malizia, la menzogna, la millanteria, la prepotenza, le presentazioni librarie, la presunzione, il puttanesimo, il razzismo genetico e culturale, lo scialo, il sì però, la stupidità, la supponenza, i tortellini panna e prosciutto, l’usurpazione, la violenza sulle anime e sui corpi. Credo che manchi qualcosa, ma sono già stanco. Ora non è che tutto questo mi stia antipatico, che provi austero distacco, signorile rifiuto; no, lo odio proprio, di un odio sorgivo e virulento, senza possibilità alcuna di remissione, per non parlare di comprensione. E poi mi succede una cosa: se traslo e personalizzo, se penso a un profittatore, a una razzista e così via, ecco, in onestà non posso affermare di provare odio. Antipatia, sì, distacco e anche un po’ schifo, ma proprio odio no. Starno. È proprio vero che non si può non dirsi cristiani, e mi sa che credo nella redenzione, e dunque odio il peccato non il peccatore.