Un quesito non semplice. Visto che la morale è mos moris, e cioè misura, e specificatamente la misura corrente delle cose, traslata in consuetudine e usanza e costume, significa forse che la morale altro non è che un accordo di maggioranza stipulato al presente su alcune norme giudicate imprescindibili perché si mantenga ordine e stabilità di un dato sistema? Se è così, che ne sarà di me che mi reputo uomo di squisita moralità attenendomi con scrupolo a principi imperativi distinti e distanti dalla corrente morale? Senz’altro sarò giudicato e sanzionato come moralista, reato che se non è penale poco ci manca. La cosa mi turba, mi scoccia condurmi nell’umano consesso da asociale, da singolare, da relitto, solo perché, tanto per non andare sul difficile, penso che chi serve la comunità nell’apparato politico deve prendere i voti, non solo quelli elettorali, ma proprio quelli lì, castità, povertà e obbedienza; inammissibile, persino indecente, eversione della consolidata misura attuale delle cose. Ho trovato in una vecchia edizione degli scritti di Gramsci dono di Franco Fortini, un foglietto di suo pugno con scritto: la moralità è necessaria tensione a una coerenza tra valori e comportamento; e coscienza del loro disaccordo. Il moralismo, l’errore di chi nega debbano o possano esistere valori e comportamenti altri da quelli che la moralità ha presenti in un momento dato. Il vecchio Fortini mi fa stare un po’ meglio; intanto perché trasla misura con valore, e poi perché dà del moralista non a me, ma a chi me lo dice non avendo niente da dire.