Dal latino meritum, ricompensa, da merere, avere una parte; a sua volta dal greco méros, parte, méiromai, ricevo la mia parte, dall’ittita mark, parte, e prima ancora dall’accadico maharu, ottenere, accettare. Malizioso e acuto c’è chi fa notare che potrebbe esserci una buona relazione con la remota radice mer, con il significato di ricevere o ottenere per magia. Ecco qua cos’è il merito, la parte di ciascuno e conseguentemente ciò che spetta a chi fa la sua parte. E fin qui niente da dire. Ma poi c’è da decidere qual è la parte che spetta a ognuno e qual è la parte a cui ciascuno deve attendere, e allora non c’è che divergenza e lotta. Perché il decisore delle parti spettanti è il padrone del tutto da spartire, e è sempre il padrone del tutto che gestisce gli enti predisposti a stabilire quanto e se e come e chi fa la sua parte, che sia parte materiale o morale o addirittura spirituale. Oggi come oggi qui da noi chi fa le parti e chi le assegna è l’autorità statale, un potere che a sua volta è soggetto o vincolato da sodalità ad altri poteri, ad esempio il potere economico; e infatti il merito, la parte, è sempre e solo una questione di potere, e tipico di ogni potere è insediarsi in nome dell’equità per poi negarla nella pratica del suo esercizio. Un classico esempio di teorica equità del merito, è assegnare una parte eguale a ognuno, la promessa del sistema liberale per altro mai realizzata; è sommamente iniquo dare lo stesso pezzo di pane a chi ha fame come a chi è sazio.