Dal latino maturus, e va bene, ma di radice antica complessa, fascinosa, ma, per misura, e mata, per tempo; da cui il greco me, metron, e il latino metiri, misurare, fino ad arrivare a mese, che appunto è misura del tempo. Ma tornando a ma e mata, ecco l’antichissimo matu che mette al mondo matutinus. E che è ‘sto mauttinus? È il figlio dell’ancestrale divinità Mater Matuta, la dea dell’alba. Che è raffigurata in certe remote figurine di argilla sepolte qua e là per la penisola con sei tette, perché l’alba è madre generosa e ce ne ha per tutti. Forse così si può capire come mai maturus, e maturo, vuol dir vecchio; è vecchio perché è venuto di buon mattino, infatti è ben vero che un uomo maturo è da un bel pezzo che è venuto al mondo. A noi la cosa non piace un granché, preferiamo pensare all’aspetto delizioso della maturità. Ad esempio io non sopporto la frutta acerba e adoro quella matura, così ho appena raccolto una cassetta di albicocche belle mature, puro nettare; ne ho mangiate una dozzina, di più proprio non ce la faccio, e sono qui che mi sto struggendo dal mal di pancia, ma che altro fare se non ingozzarmi? Domani saranno fradice e andranno buttate. A meno che non le metta in frigo, ma in tal caso perderanno il meglio della loro fragranza. Vaglielo a dire ai maturandi che stanno per farsi vecchi, che oggi sono deliziosi e già domani andranno messi in frigo. Che la maturità è un albeggiante, radioso raggio di sole, e poi è subito sera.