È laicus, tardo latino. Latino pretesco, avrebbe detto un professore dei bei vecchi tempi liberali, uno di quelli proprio ostinati, che infamavano gli studenti se si facevano scappare la c dolce in Cicero, asino, va detto Kikero, sono i preti che ci hanno messo la c. Sono i preti dunque che hanno messo al mondo il laico, conoscitori delle scritture e dunque del greco, dal geco hanno preso pari pari laikos, il popolo generico, non propriamente cittadino, il volgo. E così laico era il frate converso, non votato, e nel convento il suo compito era di servire e riverire i chierici, coloro che avevano preso i voti sacri. A sua volta chierico, e clero, è parola pretesca, presa anche questa dal greco, klerikos, e si intende il prescelto, dalla sorte per i greci, da Dio per i chierici, gli eletti dalla grazia. E dunque è bene dedurne che all’origine non c’è nessuna relazione tra laico e non credente; per chi si è inventato la parola, e l’ha codificata, è solo una questione di gerarchia. Nell’ecclesia, ancora latino pretesco dal greco ekklesia, riunione di invitati, ci sono i prescelti, gli eletti, i favoriti dalla sorte, e poi c’è il popolo dei servitori. Va da sé che io non tolleri di essere definito un laico. Sono un cittadino della Repubblica, sottostò alle sue leggi e non al diritto canonico, non faccio parte di nessuna gerarchia ecclesiastica e non sono un servo. Anche se spero di poter servire.