Dal latino imago, dal greco mimos, imitare, dalla radice antica yem, doppio prodotto, sumero immu, disegno, accadico ittu, lineamento. Per un certo tempo ho fatto il fotografo, vivevo delle immagini che producevo; fotografavo grandi macchine industriali perché il costruttore potesse venderle senza doverle portare ingombranti e pesanti com’erano ai potenziali clienti. Ero bravo nel mio lavoro e venivo pagato bene perché riuscivo a riprodurre non solo le cose com’erano, ma meglio ancora; non mentivo, non era un settore dove si potesse tirare a fregare la gente, astuti imprenditori, ma sapevo metterle sotto la giusta luce, una luce che le facesse non solo utili ma persino belle, un fantastico telaio per segare blocchi di marmo, un gran bel martinetto idraulico per spostare massi. Dal mio mestiere ho imparato questo, che un’immagine non è mai del tutto verità e nemmeno mai del tutto menzogna. In ogni immagine c’è un’intenzione, l’intenzione di chi la produce, e dunque uno sguardo non uno specchio, un filtro che interpreta, ritocca, sceglie; ma malevolo o benevolo che sia quello sguardo, sincero o menzognero, non può possedere del tutto la realtà, il mondo è sempre più grande di un’intenzione. E si vede, e anche se si fa del tutto per non farlo vedere, alla fine si scorge. Non c’è trucco che tenga a ben guardare, a guardare bene voglio dire. Solo che non abbiamo un grande interesse per la realtà, le preferiamo la verità -vedi voce relativa- e la verità è per l’appunto un’intenzione, una fede, un credo, che ci piace condividere.