L’idea è un’immagine, avere e farsi un’idea è saper vedere. Tutto qui. Non c’è parola che abbia avuto vita più lineare, più linda, senza mai un equivoco d’etimo, un turbamento. Dal sumero idi, occhio, al greco antico id radice di eidon, vedere e eidos, immagine, e quindi al latino, che essendo lingua pratica ignora l’idea e si concentra sul videre, vedere. Un’immagine. Così si capisce bene cosa vuol dire non hai idea di quello che ho patito, non sai e non puoi immaginarlo, non puoi figurartelo in un’immagine. E così figurati un po’, un invito pressante e retorico, nell’auspicio dell’invocazione è sottinteso che nessuno, anche a mettercela tutta riesca davvero a figurarsi. Perché in effetti avere e farsi un’idea è lavoro, duro lavoro. Ideare non è semplicemente pensare, è costruire; un’idea è una costruzione, edificare un’immagine con la sola materia del pensiero, farlo così bene che può essere vista da uno che non ci ha mai pensato, addirittura vista da tutti quanti. E più un’idea è buona, più è complessa e ricca di particolari l’immagine; uno scenario, un teatro, un paesaggio, dove chi riesce a vedere possa abitare a suo agio. Per questa ragione, per la pratica fatica che è necessaria, chiedere a un ministro di avere un’idea può essere chiedergli troppo. Poi, molto tardi nel latino medievale, sorge la necessità dell’ideale, idealis. Che sarebbe un’immagine di costruzione perfetta. Un tesoro. A chi chiedere uno sforzo simile, un impegno così duro?