Forse dal gotico varian, werian, difendere proteggere impedire, tenere lontano, radice var, guardare; oppure dal germanico weren, salvare, radice vahr, vero. La radice antica è il sanscrito vr, coprire. In ogni caso sembra che guarire sia una questione barbara, contesa tra ostrogoti e visigoti. I latini non guariscono, i latini si sanano, e lo fanno alla greca, saòô, cioè conservandosi, scampandola, e la scampano perché la radice primeva è in sahy, nel forte, nel vigoroso. Io sto con i barbari. Io so che se guarirò è perché sarò salvato da chi mi difende, da chi mi protegge, da chi mi guarda e ha riguardo. E non c’è altra verità in cui possa confidare, nessun’altra che mi possa coprire e riparare. E so che non sono forte, non sono prestante, non lo sono mai stato, sono gracile e non mi si può chiedere di rinunciare alla guarigione solo per questo, perché non sono un buon modello per Fidia, perché da solo non posso cavarmela. È successo qualcosa in questi ultimi millenni; si sono invertite le parti e ora siamo noi latini che vantiamo l’indefessa sollecitudine alla guarigione e osserviamo con adeguato scalpore la crudele pratica della sanità dei nordici goti, cinicamente disposti a confidare che i forti se la scamperanno e va bene così. Forse abbiamo imparato dai barbari e i barbari hanno imparato da noi. Forse, oppure solo ci piacerebbe che così fosse perché è così che appare. Salvo fare i conti alla fine, e constatare nella dura e limpida luce del mattino dopo se davvero i forti avranno portato con loro i deboli nel nuovo giorno.