Latino gubernare, greco kubernau, è una voce squisitamente mediterranea, e quando ha avuto un senso, concreto, necessario, lo ha avuto in queste acque care agli dei. Significa condurre, manovrare un’imbarcazione, comandare una nave, timonare, dal remoto accadico kubaru, sbarra, la barra del timone. Governare è dunque un termine marrinaro di uno specifico mare. Altrove, nel mondo anglosassone ad esempio, governare se si è in mare è banalmente steer, sterzare, se si è a terra è rule, la regola, la legge, e questo ci dice forse qualcosa su come si intende tenere in riga una terra, un paese, una nazione, qui da noi e su da loro. Ma tornando nel Mediterraneo, governare una nave, e indifferentemente una nazione, è assodato che richieda qualcosa di più di regole e leggi, necessita della sensibilissima, ineffabile arte del nostromo, noster homo, il nostro uomo; l’ufficiale in comando che pensa di poterne fare a meno non andrà da nessuna parte, non consegnerà nessun carico, non vincerà nessuna battaglia. Il nostromo non è un grado ma un incarico, scelto perché il più anziano, il più carismatico e più esperto dei marinai, e ha responsabilità pratica su tutto e tutti, sul timone, sulle dotazioni, sugli armamenti, sull’applicazione delle regole e delle leggi. In mare non c’è marinaio che si ricordi di un nostromo anche solo un po’ simpatico, ma nemmeno di un nostromo che abbia perso la rotta o il carico, o sacrificato inutilmente qualcuno o qualcosa. E anche questo vuol pur dire qualcosa, dannazione nella salvezza, salvezza nella dannazione.