Il fuoco non è fiamma, dal latino flamina, non è incendio, da incendium, non è bruciiare, dal volgarissimo brusiare, fuoco è solo focus, il focolare, il luogo al centro della casa sacro agli dei Penati: Tant’è che una casa abitata è stata detta fuoco o focolare persino nei documenti ufficiali, in fuochi si sono contate le abitazioni nei catasti e nei censimenti fino a non molti secoli or sono. Così il fuoco è il simbolo di una casa vivente, è la sua anima, la presenza del sacro nel suo seno; una gran bella cosa che si tenga acceso il fuoco, uno splendente segno augurale. Io ho vissuto la mia infanzia in una casa dove era sempre acceso il fuoco, anche nella notte, si faceva brace. Era sacro quel fuoco, sì, ma non votivo, serviva a cuocere o scaldare qualcosa, sempre. E questa era la sua parte di sacro, il fatto che in quella casa ci fosse nutrimento, cibo caldo per la fame di ogni momento, la fame di lavoratori che non conoscevano orario pe il loro faticare e non ne avevano per nutrirsi. Ricordo bene con quanta devozione, con quanta compiuta sacralità, la matriarca attingeva alla marmitta o al tegame e versava nel piatto, prendetene e mangiatene, questo è ilo mio corpo. È singolare che fucus sia “privo di connessioni evidenti indoeuropee”, De Voto, come se fosse il fuoco una delle rarissime parole tutte nostre. È allarmante che si debba chiedere di coprirlo, e dunque spegnerlo, vuol solo poter dire che abbiamo il nemico alle porte, e solo trovando le case deserte di anima passerà oltre.