Fame. Radice greca per mancanza e desiderio. Io non ho mai avuto fame e mi risulta di essere stato il primo nella mia famiglia a non averne mai avuta. Fame di pane, intendo. Da ragazzino mi sono state raccontate al riguardo storie di leggendarie fami così come di mirabolanti soddisfazioni, ma erano appunto racconti leggendari, ho avuto la fortuna di crescere nel tempo del grande balzo della classe operaia dalla fame all’appetito, per farmi crescere forte e in salute per me si andava persino al macello a comprare diaframma di manzo. E so ben distinguere l’appetito dalla fame perché i nostri vicini il balzo l’avevano mancato, e non solo dov’era il macello manco lo sapevano, ma più di una volta non arrivavano nemmeno dal fornaio. Per questa ragione non tollero che nella nostra casa qualcuno osi dire ho fame, fame di filetto o biscottini solitamente. Eppure, avendo pane e companatico, non nego che ho sempre avuto fame e continuo ad averla. Mi hanno educato a considerarla questa fame, mi hanno spronato a trovare il modo di saziarla. Come chi mi ha generato nel tempo delle macerie appena sgombrate dal loro fervore di combattenti per la repubblica, ho imparato ad aver fame di giustizia, di libertà, di pace, di amicizia, di amorevolezza. E ho sempre fame perché ne sento la mancanza e me ne preme il desiderio, e resto insaziato. Non è appetito, è fame vera. E dunque so perché intorno alle nuove macerie tutto sembra procedere nell’agio della noncuranza, perché questo è il tempo della generale sazietà. Una sazietà anfetaminica, se ne sente l’odore e se ne constata il mortale effetto collaterale. Non potrà essere una sazietà durevole.