È tutta una questione di dove si mette il piede, o dove si induce a metterlo. Fallo-is, fefelli, falsum, fallere. Greco sphallein, antico tedesco fallan, da cui fellone, il tutto originato dalla radice accadica balu, venir meno, mancare, inciampare. Quella di mettere il piede in fallo era una gran ossessione nei tempi remoti a causa delle precarie condizioni delle strade. Andare per la cattiva strada era assai più comune che andarsene per quella buona, rarissima. E forse che oggi le strade sono così buone come sembrano? È così facile fallire, così consueto il falso, così tollerato il fallo. Tra parentesi, disgraziatamente niente comune etimologia con il fallo anatomico, che è phallus, e dunque niente spiritosaggini intorno al fallo che fallisce, è falso e falloso. Ma per tornare alla cattiva strada e all’inevitabile inciampo, farei notare come di norma chi è colto in fallo, e in particolare e qui chi dice e scrive il falso, si ritiene incolpevole di principio in ragione che non c’è un vero che gli si opponga. A tal proposito rimando alla voce “vero e verità” della scorsa settimana; se il vero non è che un credo, una fede, perché mai sanzionarne un’altra solo perché è di diverso aspetto? Già, ma una fede che semini inciampi è per l’appunto falsa fede, fede mala, malafede. E non fede alternativa, o verità alternativa, come è attualmente canonizzata su cui inciampiamo nelle nostre ben tenute strade.