L’energia o serve per fare qualcosa o non è data, o ha un lavoro da fare o non si può vedere cos’è, misurarla, definirla. Così che quando uno si alza al mattino e si dice, oh che oggi mi sento tutto pieno di energia, mente a sé stesso finché quel suo tutto pieno non si è consumato applicandolo a modificare, cambiar di stato, vuotare, riempire, annichilire, una parte dell’universo, piccola o grande, che sia il suo di universo, che sia quello di Einstein. E questo vale per un umano quanto per un atomo di elio. L’energia non è materia, non è solida, non è liquida, non è fluido, non è gassosa; di fatto l’energia in sé non si sa nemmeno cos’è, si sa solo cosa fa accadere, cosa succede quando si mette in moto e interagisce. I latini, così diffidenti verso l’astratto, si arrendono tardivamente alla greca energéia, alla forza attiva, all’applicazione intensiva di ergon, del lavoro. E pratici come sono, prendono alla lettera il lavoro intensivo e si inventano, derivato diretto, l’ergastolum, l’organizzazione in apposite strutture del lavoro degli schiavi, sempre dal greco ergasterion, casa di lavoro. L’ergastolum è costruito e diretto in modo da consumare proficuamente fino all’ultima stilla tutta l’energia messa a disposizione dai corpi e dalle menti in cattività. E, mutati i tempi, non c’è posto come l’ergastolo per prendere atto di come l’energia di un captivo si manifesti nel lavorio eterno, nella consunzione totale del suo stesso corpo, della sua stessa mente.