Se alla fine mi sono deciso sposarmi è stato per l’opportunità gentilmente offerta di un ritratto degli sposi che ritualmente si baciano sotto lo stendardo della città di Genova; lo stendardo raffigura San Giorgio che infilza con la sua santa picca il drago, sul drago è appuntata la medaglia d’oro al valor militare assegnata alla città che si è liberata dal nazifascismo con proprie mani in armi, la medaglia lampeggia tra le fauci del mostro e benedice gli sposi. Il drago di San Giorgio era un demonio che si cibava di carne umana nella perduta città di Salem, ed è una leggenda, l’idea che il drago sia una creatura demoniaca ce l’hanno in testa solo i romeni, nella loro lingua demonio di dice drac. In verità il draco latino come il drakon greco altro non è che un rettile, un serpe, piuttosto grosso ma innocuo che era tenuto nelle case patrizie come animale domestico da compagnia e da trastullo. Parrebbe singolare che al placido biscione abbiano dato un nome che ha la sua radice nell’accadico drk, derk, che vuol dire vedere, visto che tutti lo sanno che i serpi sono orbi cecati. Ma c’è la sua ragione, ed è nell’ancestrale e universale credenza che gli occhi del serpente siano ammaliatori, ipnotici, divoranti, mai farsi cogliere dallo sguardo di smeraldo di un drago. Chi per ventura avesse mai pensato di mettersi in casa a mo’ di trastullo un drago, o peggio anche due, sarà bene che tenga lo sguardo a terra e la mano alla picca, ci è ben noto quanto leggende e credenze si fondino su solide basi esperienziali.