Chi dice che il diavolo non esiste? C’è eccome, e per casa non ha bisogno di quell’esotico cono a testa in giù tuto troppo caldo o troppo freddo che si è compiaciuto di raccontarci l’Alighieri e ancora si compiacciono taluni catechisti affetti da turbe e traumi necessitanti l’intervento di seri professionisti; la sua casa è qui, con noi, meglio ancora, la sua casa siamo noi. Diabolus, latino, diabolos greco, dia, separo, ballo metto, letteralmente, direi, colui, o ciò, che si mette di traverso, colui, o ciò, che separa, il seminatore di discordia. E a pensarci, i tormenti danteschi sono poco più che eufemismi al cospetto delle pene che ci infliggiamo lasciando che il diavolo metta tra noi il suo zampino. Il Grande Separatore, ce lo coviamo in cuor nostro senza alcun bisogno di intervento sopra naturale, senza che si debba mettere in moto una congiura di satanisti, anche il più belloccio e mite tra noi ha l’occasione di replicare la parte di Rosemary e dare al mondo un nuovo baby, l’ennesimo.  C’è una singolarità che mette assieme il diavolo con il simbolo; simbolo, i volenterosi affezionati alla rubrica vedano la voce dedicata, è ciò che unisce, syn, insieme, e ballo, metto, e per i latini era addirittura un oggetto, una tessera, che spezzata in due era il suggello di una promessa eterna di unione tra chi poteva unire le due parti. Allora il diavolo è in opposizione al simbolo; infatti non simboleggia niente, è pura materia, materia di umanità infranta.