È arrivato il momento del dialogo. O no? Si vorrebbe che sì, sembrerebbe di no. Le parti, le parti non sono disposte, rischierebbe di essere un dialogo tra sordi. Il che non sarebbe male in effetti, i sordi dialogano con grande efficacia tra loro, e dialogherebbero volentieri anche con il mondo intero, se il mondo non insistesse a limitarsi a sentire ma si applicasse a guardare. Il punto è intendersi sul logos, il dia è facile, il logos è complicato. Intanto bisogna avercelo un logos da mettere a disposizione del dialogo. I contendenti ce l’hanno un logos? Se non intendono dialogare forse è perché non ce l’hanno. O non sanno bene cos’è e si confondono e si impappinano. Basta dare un’occhiatala al dizionario; logos, che già in origine è lego, con il suo bel significato di scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare, con il tempo e il gran ragionare che se ne faceva ai tempi aurei della Grecia socratica, diventa pure stima, studio, apprezzamento, relazione, legame, proporzione, misura, ragion d’essere, causa, spiegazione, frase, enunciato, definizione, argomento, ragionamento, ragione, disegno. Il logos non è una roba sorgiva come i denti o la smania di accoppiarsi, il logos non è dar aria alla bocca, ma è coscienza e intenzione di un legame, di una proporzione, di una causa, di una ragione, di una scelta, di un argomento, di una misura, eccetera eccetera. Ecco perché dialogare è così difficile, così improbabile, così poco apprezzabile nei tempi duri, quando ci sarebbe urgenza di confrontarsi armati, questa sì che è un’arma decente, di tutto ciò di cui sopra.