Dal latino desiderium, dove il problema è tutto nel de, visto che il siderium è pacifico, sono le stelle. La questione, capitale, è: questo de è privativo o rafforzativo? Il latino ci consente di scegliere e qui si gioca una partita decisiva per la nostra vita, che tutti desideriamo e coltiviamo desideri, e se non è così è solo perché non stiamo vivendo. Dunque, mettiamo che il de sia rafforzativo, allora il desiderio si compendia in una gran brama di rivolgersi alle stelle; e le stelle sono irraggiungibili, lo erano ai bei tempi latini e lo sono ancora, e ancora lo saranno per quasi un’eternità. E così ciò che desideriamo è l’impossibile, bramiamo quello che non avremo; e questa è una storia molto romantica, e distruttiva naturalmente, perché consumarsi nell’impossibile può aiutare molto nel darsi una ragione per le notti insonni o nel comporre belle canzoni, ma, nel renderci infelici, ci fa infecondi, incapaci, disadatti. Se invece consideriamo il de un privativo, allora il desiderio si compie dal distogliere lo sguardo dalle stelle. Perché mai è meglio lasciar perdere le stelle? Perché sidus, stella, ha la stessa provenienza di signum, segno, dall’accadico sadu, e il sadu non è per niente un bel segno, infatti saduru è metter paura, e sidus, guarda un po’, non vuol dire solo stella, ma anche destino. Allora desiderare altro non sarebbe che distogliere lo sguardo dal nostro destino, e il desiderio il gran sforzo di opporsi alle potenze siderali. Molto impegnativo ma non impossibile, non distruttivo.