Cólto è un participio passato, cultura è un participio futuro. E adesso pensateci un attimo perché vuol pur dire qualcosa; a me dice che un cólto è ricco di un patrimonio tutto accumulato nel passato e la cultura è tutta protesa nel futuro. Ma vediamo un po’ l’etimo; cólto, cultura, ma anche còlto, coltivare sono tutti figli di colere. Colere è latino, ma è pure un verbo presente nelle lingue romance, compresa la nostra; pochissimo usato negli ultimi duecento o trecento anni, amato da gente tipo il Tasso, il Petrarca, il Bembo, ma c’è, e ha il significato di venerare. Interessante, no? Anche perché il colere latino ha sì l’ovvio significato di coltivare ma il coltivare trae la sua origine nella radice remota kel, che è una delle unità più importanti del lessico indoeuropeo, presente in tutti i ceppi linguistici, iranici, celtici, slavi, germanici, eccetera eccetera. Kel indica il movimento circolare e è carico di una forte valenza simbolica, al movimento circolare è associata la cura, la protezione, la coltivazione dunque, perché coltivare è proprio questo, proteggere e curare fino alla venerazione. Dunque il cólto è colui che ha coltivato, si è preso cura e ha protetto il sapere, la conoscenza, e la cultura è il divenire del sapere e della conoscenza che stiamo seminando e di cui ci stiamo prendendo cura e cureremo domani, tra un anno, tra un secolo. Sempre che terremo ben presente che non sarà una linea retta, sicura nella sua rigidità, ma una morbida, duttile spirale che non ha fine.