Dal latino clima, dal greco, klima, dunque nessuna incertezza nel transitare da una storia all’altra, solo la singolare interpretazione odierna del significato della parola, che per millenni e solo fino a ieri significava semplicemente e unicamente l’inclinazione dell’asse terrestre dall’equatore ai poli, dunque la diversa incidenza dei raggi solari e la conseguente diversa insolazione, e temperatura del suolo e dell’aria. E oggi è tutto quello che diciamo tranne quello che è sempre stato, così che neppure gli scienziati, che sanno bene il significato primevo dii clima, si esimono dal parlare di cambiamenti climatici, anche se il mutamento dell’inclinazione dell’asse terrestre con tutto questo casino non c’entra niente; sì, un po’, ma appena un filino: l’asse muta, ma impercettibilmente agli occhi e ai calori umani. Come sia avvenuta questa trasmigrazione di significato dove il tutto è per la parte, dove la parte è un quieto stato delle cose e il tutto un’iraddiddio, non lo so, ma mi prendo la libertà della seguente supposizione; il clima di cui oggi parliamo ha il suo etimo aggiornato in climaterio, klimakter. Che è il salto, il drammatico cambio di posizione e di condizione che dà inizio al ciclo della disgrazia, altresì il marasma ormonale del passaggio all’età infertile, questo ben descritto dalla medicina greca e romana, e anche da mia nonna, i g’ ha er climaterio quer lì, e intendeva di qualcuno lunatico, bizzoso, inaffidabile, nevrastenico. Tale e quale intendiamo quotidianamente del clima nell’attuale accezione.