I cinesi non dicono Cina, se mai indulgono in questa parola straniera è solo, e malvolentieri, per compassione della crassa ignoranza di un interlocutore che sono disposti a favorire in modo particolare. Come dargli torto, Cina è forse sanscrito, forse è Chin persiano, lingue dei vicini per indicare il Zhōngguó. Zhōngguó, così chiamano da alcuni millenni il loro vasto Paese, il regno di mezzo, o, non essendoci re, lo stato di mezzo. Anche da comunisti il loro è lo stato popolare e repubblicano nel mezzo, Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó. E questo ormai i più sanno; quello che purtroppo sfugge praticamente a tutti, da Joe Biden al mio vicino di casa, è che non si sono dati quel nome perché si sentono al centro del continente asiatico, ma bensì al centro dell’universo. Nella loro antica cosmogonia, ne avevano una di straordinaria complessità concettuale quando ancora noi di qui non avevamo messo assieme Romolo con Remo, gli dei progenitori erano pura astrazione, Cielo, Terra e Ragione umana, e cinque colori, Giallo, Nero, Rosso, Blu, Bianco, a rappresentare i quattro punti cardinali della volta celeste più il centro, il dio Giallo, che si fa terreno e genera i popoli e la civiltà al centro dell’universo, appunto. Muniti da millenni del sentimento di un centro di gravità permanente, capite bene che il loro sguardo sulla storia degli accadimenti umani è un filino diverso dal nostro, che un centro di gravità lo andiamo cercando senza alcun successo un po’ meno che fragile e temporaneo. Capite, insomma, che Joe Biden e il mio vicino gli fanno una pippa ai “cinesi”.