Dal greco: sussurro, mormorio. Cosa hanno sussurrato le tue labbra alle mie labbra stamattina amata mia, quando fuori ancora non s’era fatta luce e nella casa non c’era che il lampadino sopra il fornello e sotto l’odore del caffè ancora l’odore dei nostri sogni, i sogni che ci siamo fatti ognuno per conto suo. Cosa avevano da bisbigliarsi le nostre labbra dopo così tanti anni e migliaia di migliaia di baci, che già non sapevano o che s’erano appena scordate. Qualcosa forse che non sapremo mai davvero, qualcosa che le nostre parole disperse nello spazio tra noi non impareranno mai. È così? E tutti gli altri, i milioni di baci tra le mie e le labbra che si sono disperse nelle età, nelle sincere intenzioni di incontri perduti, nelle malizie di quelli traditi. Non so, non ricordo, non posso. D’altronde, forse che si potrà mai sapere qualcosa nel frastuono di miliardi di mormorii che oggi si baceranno? E chi saprà mai, figuriamoci, cosa hanno sussurrato le labbra di Giuda Iscariota alle labbra del Cristo, e le labbra di Leonid Brezhnev cosa avevano da mormorare a quelle di Erich Honecker. Ma può anche darsi che i greci abbiano capito male, o, come al solito, ci abbiano ricamato su. Può essere che baciarsi non è sussurrarsi, ma nutrirsi. Ci baciamo amata mia perché siamo ancora il passero che imbecca i suoi pulcini, l’orango che si scambia il boccone con il partner con cui si è appena accoppiata, e siamo sempre quei due che si sono passati una caramella al limone e la buona saliva intorno, proprio ieri, così per giocare ancora un po’ tra noi. E penso che è più bello così che far tanti discorsi.