Hasta la vista, à bientot, I’ll be seeing you,
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ridicoli perché si sa che chi s’è visto s’è visto.
La verità è che nulla si era veduto
e che un accadimento non è mai accaduto.

Eugenio Montale, da Satura. Montale non era di buon carattere e è assai probabile che questa poesia non sia che la trascrizione del suo congedo orale da qualche innocente coglione che gli ha dato l’arrivederci, forse da una signorina che l’ha mollato così, arrivederci caro; perché no, capita, sarà capitato anche a lui. Nel mio piccolo mi guardo dall’arrivederci, è già così difficile esserci visti, quante probabilità avremo mai di farlo ancora una volta? Spogliati dall’ipocrisia della convenzione, possiamo in sincerità affermare di vederci con la moltitudine degli umani con cui ci abituiamo alla frequentazione, addirittura alla familiarità? Vedere. La sua remota radice, seminata in tutto l’universo indoeuropeo, è weid, sapere, conoscere, da cui il sanscrito veda, io conosco, e sono infatti I Veda la raccolta dei testi sacri, gli strumenti della conoscenza dell’antica civiltà aria indiana. Io ti vedo e ti so, ti conosco. Io ti guardo tutti i giorni, tutte le ore, tutta la vita e può succedere che non ho ancora la minima idea di chi sei, ti ho sempre guardato e non ti ho mai conosciuto. Eh, sì, guardare la luna ogni sera, guardare al risveglio l’amato ogni mattino è forse certezza di conoscere la luna, di conoscere l’amato? E dunque, all’occorrenza, molto meglio dirsi addio, affidarsi a Dio che, lui sì, tutto vede e tutto sa.