Un’origine antichissima, come potrebbe essere diversamente? Come un grande fiume si snoda per tutti i paesi e le genti, i nostri paesi e le nostre genti indoeuropee, e si biforca, un ramo, au, verso nord, e un ak, verso sud. Au diventa auwa, e auwa è l’acqua come l’hanno conosciuta i popoli del nord, i goti, i germani, quella che scivola via in una pianura paludosa: ak si fa akna, piega, e è l’acqua del sud, quella che serpeggia, maestosa, il Tigri, l’Eufrate. Quando arriva ai latini aqua è diventata ormai l’idea dell’acqua, spoglia da ogni riferimento concreto, pratico, perché è stata addomesticata, civilizzata, convogliata, in fontane, canali, rubinetti, acquedotti, vasche, giochi, macchine, e ha assunto tanti nuovi nomi. Stamane ho preso la bicicletta e sono andato a vedere il Lamone, il fiume che alla fine dell’800 dette di fuori con una piena che cancellò metà della provincia di Ravenna e lasciò senza terra migliaia di contadini; fu una grande tragedia che generò una bella vicenda, perché quei contadini senza più terra fondarono la prima grande cooperativa del Paese, si fecero scarriolanti per riprendersi la loro terra bonificando mezzo delta del Po, e la terra risorta divenne comune. Adesso il Lamone a ridosso delle chiuse di Errano non serpeggia e neppure pullula nella palude, ma sono due secchiate buttate lì, acqua stanca, sfinita, risciacquo. Diciamo che non c’è più acqua e non è vero, di acqua ce n’è quanta ce n’è sempre stata, solo che non è qui dove ci fa comodo, ma là, dove può prendersi la sua vendetta su vasche, fontane, acquedotti…