Dal latino tale e quale con la acca davanti, e sta per ecco come son fatto, e per estensione, attitudine, disposizione, inclinazione. Derivata l’habitudine da habitus, che sta per figura, apparenza, modo dell’essere, a sua volta derivato da habere, che sta per avere. Dunque, per via di strani passaggi di destrezza, l’essere, se non proprio l’interiore almeno l’apparire, eccomi qua, ha a che fare con l’avere. Brutta faccenda, perché io la penso come Fromm, o hai o sei, e se messa così sembra troppo radicale, possiamo arrivare a un onorevole compromesso, quanto meno hai più sei. Eppure i latini erano saggi e piuttosto moralisti, e forse la vedevano in questo modo: tutto ciò che puoi possedere sei te stesso, e neppure il tuo spirito, ma l’habitus, la sua messa in scena, il tuo modo di essere nel mondo. Cos’hai? Beh, ho delle abitudini. In effetti è ragionevole. Abbiamo le nostre abitudini, e siccome sono nostre possiamo farci quello che vogliamo, anche cambiarle. Oppure no. Io, ad esempio, sto opponendo una ferma resistenza all’ingiunzione profilattica di cambiare le mie buone abitudini di socialità. Non ho nessuna intenzione di cambiarle, ma, unicamente, dato lo stato di eccezione che ho accettato di condividere, di sospenderle, e farlo per il tempo strettamente necessario. Un baratro separa sospendere da cambiare. Peccato invece che non mi si chieda di cambiare le cattive, sarebbe un buon momento per farlo. La più cattiva che ora mi viene in mente in fatto di profilassi e cura e pubblica sanità, è l’inveterata acquiescenza a un sistema economico che alimenta sé stesso dissanguando i viventi.