De habere, da avere, avere qualcosa da qualcuno. Se siamo io e te va bene, se siamo io e mio figlio, va ancora bene, e va bene se siamo io e il mio lavoro, così se siamo il mio lavoro e me, va benuccio se siamo io e la banca o la banca e me; insomma, finché ci sono io di mezzo e qualcuno o qualcosa è facile da capirsi il dovere. Le cose si complicano se si tratta di noi e voi, noi e loro, voi e noi e loro, se ognuno tiene tra le mani –habere dall’accadico habu, tenere, e kappu, le mani a coppa- qualcosa che è dovuto a ogni altro. Allora il dovere diventa Dei Doveri dell’Uomo. Così scrisse Giuseppe Mazzini alle operaie e agli operai d’Italia nel 1860. “Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l’armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il DOVERE. Bisogna convincere gli uomini che ognuno d’essi, deve vivere, non per sé, ma per gli altri – che lo scopo della loro vita non è quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori – che il combattere l’ingiustizia e l’errore a beneficio dei loro fratelli è non solamente diritto, ma dovere, dovere di tutta la vita”. E si capisce perché quell’uomo ha passato tutta la vita da condannato a morte in contumacia.