È il momento di dare un colpo definitivo a questa storia del capitalismo; si può fare, nonostante i molti e autorevoli pareri contrari è incredibilmente semplice e per niente invasivo, e vi spiego perché. Dunque, in verità mi interessava indagare su dono, che è proprio una gran bella parola, evocativa nel suono ancor prima che piacevole al tatto, e così vengo a sapere che la radice di dono è antichissima, ed è do, dare, rimasta praticamente intatta ovunque nell’area indoeuropea, dal sanscrito al celtico, dal greco al gotico e naturalmente al latino. È proprio una gran cosa che all’origine dono e dare combacino, o per meglio dire si bacino, che il dare fosse inteso come atto della gratuità, perché questo è appunto il dono; dunque c’è stato un tempo, forse l’Eden?, in cui gli umani davano senza nulla, di materiale, pretendere; umani di animo gentile, privi dello spirito del buon, sano, vecchio egoismo, e perciò stesso incapaci della rapacità necessaria all’atto fondante del capitale, ad accumulare. Per accumulare è ovviamente necessario avere, gli averi, giusto? Ebbé, cosa ti scopro? Che avere è una parola tarda, e non solo tarda, ma anche molto provinciale; habere è la forma durativa della radice ghabh, prendere, e quindi prendere e poi tenere in serbo, conservare, e quella radice si riscontra soltanto nell’area osco-umbra e celtica. Capite? Per millenni dal Gange alle colonne d’Ercole abbiano dato per donare, finché dei pelosi e selvaggi umbri non hanno deciso che era ora di finirla di dare e era venuto il momento di prendere e accumulare. I tempi sono maturi per la caccia all’umbro.