Il signore è il padrone; non il proprietario, il padrone, pensateci, non è la stessa cosa. Sono nato in una famiglia di miserabili contadini senza terra, non erano proprietari di niente, ma erano tutti dei signori, signori che mi hanno educato alla signorilità. Avevano poche parole per farlo, la loro vita per mostrarmelo. Diceva mio nonno per spiegarmi l’anarchia: l’anarchia l’è ca san tutti uguali, non per via ca a san tutti servi, ma perché a san tutti signori. E perché capissi cosa intendeva per signori, aggiungeva, sempre nella sua lingua: potrai avere anche un padrone che ti sta addosso, ma avrai sempre due destini, quello che vuole lui per te e quello che vuoi tu per te stesso, e finché lotterai per il tuo destino non sarai mai servo. La signoria sul proprio destino è l’unica proprietà accordata agli umani, una proprietà universale, sottrarre quella proprietà è il furto capitale, riappropriarsene l’unica rivoluzione definitiva. In casa tutti avevano un vestito della festa, un abito per le grandi occasioni. Quando sfilavo con mio padre al corteo della festa della Liberazione o per il Primo Maggio, andavo per mano con un gran signore. Nel fascicolo della polizia politica intestato a mio nonno, c’è la fotografia segnaletica di un uomo vestito di tutto punto, un gran signore. Quando mio padre, diventato operaio senza padrone, scriveva un preventivo, firmava così, il tutto a regola d’arte Maggiani Dino. Lo scriveva in bella calligrafia con i capolettera elaborati, perché il lavoro ben fatto, il lavoro eseguito a regola d’arte, rende signori.