Il pane non è un ma il nutrimento, la sua remota origine è nella radice pas, che proprio questo vuol dire, nutrire, da cui pasto, pastore, pascimento… C’è un modo più che scientifico per distinguere a prima vista un paese povero da uno ricco, più è un posto da morti di fame e più il pane è buono, fare la prova. Ad esempio adesso vivo in una landa prospera e ubertosa, la Romagna, e il pane è letteralmente immangiabile; infatti a questi qui non gli serve per nutrirsi, qui hanno ben altro per farlo, tipo che mettono in tavola interi porcelli, tagliatelle impastate con dodici uova e un filo di farina, eccetera; qui il pane è per figura, al massino per fare un po’ di scarpetta. Dove sono nato, nella miserevole landa lunigiana marittima, il pane era e tuttora rimane squisito, perché di quello ci si nutriva, ad avercene. L’unico companatico, cum panem, disponibile era il sale; infatti Il Dante, che era uomo di pretese, si lamentava del pane che ci levavamo di bocca per darglielo a lui al tempo che lo ospitavamo a nostre spese, quanto sa di sale lo pane altrui. Certo, gli opulenti fiorentini il pane lo facevano e tuttora resta sciocco, per non disturbare i profumi dei presciutti, delle finocchione e dei caci con cui se lo sbaffano. Come precisa Omero, ricca era anche Troia; infatti l’Arpia per spaventare il profugo di lusso Enea gli predice una tanta fame da doversi mangiare anche il piatto, che era focaccia di farro su cui poggiava il companatico. Focaccia che solitamente gettava ad uso dei profughi di terza classe.