Non che mi facesse andar fuori di testa, ma il 45 di Let it be l’ho comprato, piaceva alle ragazze, andava bene per i festini al momento di mettere su i lenti; nel retro c’era una canzone che non si poteva ballare e nemmeno cantare da quanto era stupida, così stupida che doveva essere benedetta dal genio, e siccome le ragazze tardavano a farsi strusciare sulle immortali note di Let it be, io me la sentivo e sentivo, sentivo e non capivo. Ci ho messo cinquant’anni per capire il genio. You know my name, e tra parentesi, look up the number, titolo e testo, tutto lì. La pubblicità dell’elenco telefonico poggiato sul pianoforte di John Lennon, sai il mio nome, cerca il numero. Se sai il mio nome sai tutto quello che c’è da sapere, non c’è altro da aggiungere, solo, se vuoi, trova il numero e chiama. Ops! Know e name vengono da molto, molto lontano per la stessa strada, la remota radice no, gno. E name è tra le parole più antiche e universali che si conoscano, ancora si dice allo stesso modo in cui la dicevano i sumeri e gli umbri e gli indu, e il nome è per ognuno conoscenza. E, ma solo tardivamente greco e latino, anche potere; infatti chi agogna al potere inizia col farsi un nome. Disse Iddio all’uomo, dai un nome a ogni essere e cosa dell’universo e ne avrai conoscenza. E ti apparterrà e tu gli apparterrai. You know my name, e chiamami, dì il mio nome e io esisterò perché tu mi conoscerai. Ho letto che per Paul McCartney è la canzone dei Beatles che preferisce; condivido, e ‘fanculo lascia che sia. Lascia che sia che?