La libertà è un gran casino e la natura di un uomo libero non è per niente chiara, ma sconcertante fraintendimento. Partiamo dagli osci che non si sbaglia, la lingua osca è la madre di tutti i latini. Nella lingua osca, libero era luv-frei, dal verbo libere, ancora più anticamente lubere, che significa aggradare, fai come ti piace, la radice antica è nel semitico lubbu e poi accadico libbu, che prende il significato di desiderio, scelta, e originariamente stava per cuore nel senso di parte interiore, intima, e quindi coraggio, visto che il coraggioso ha un gran cuore, un cuor di leone. La frazione italica degli osci prende luv-fre e ci fa loidhero, colui che appartenente al popolo, ma nel senso specifico, e ristrettissimo, di discendente dallo stesso capostipite; per chi volesse farsi illusioni, il popolo è circoscritto nella schiatta del patriarca. E dunque, libertà è, sì, poter desiderare e conseguentemente scegliere, ma ì liberi sono i pochi in grado di esibire una specchiata genealogia. Di più, gli osci si erano darti il dio Liber che è il dio della gioia, il dio dei desideri senza confini, il che è bellissimo; poi ila frazione latina se l’è preso e ne ha fatto il dio della fecondità. Perché liber ha anche radice dall’accadico lipu, che sta per rampollo, generato da schiatta appunto, e grasso, dal verbo elepu, fiorire. Già, fioriscono e ingrassano solo i rampolli. E così il liber del latino di Ovidio e Cicerone altro non è che l’uomo libero da vincoli di tributo, che sono i dolorosi vincoli dei servi. E io dovrei dare la mia vita per liberarmi delle tasse? Bisognerà che ci pensi.