Non credo che si possa immaginare niente di più aereo, leggero, celestiale, forse persino divino, celeste beatitudine, della letizia, non in questo frangente almeno. Infatti non sappiamo non dico dircela ma persino pensarla la letizia, cosicché non ci risulta, se non in qualche ombrosa ragazzina incatenata alla memoria di un’antica zia probabilmente suora. Certo, tutti sappiamo dire chi vuol esser lieto sia del doman non c’è certezza, ma abbiamo capito male o ce lo hanno male insegnato, non c’è letizia nella gozzoviglia rinascimentale del signore di Firenze, se è quello che pensavamo o è ciò che pretendeva Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, uomo mai sfiorato da un qualche sentimento di celestiale levità. E poi, anche avendo capito, chi mai si porrebbe con sereno moto vibrante dell’anima porsi al cospetto delle incertezze del domani? Già ne abbiamo a basta delle deprimevoli incertezze dell’oggi per andare nel mondo carichi di insostenibile peso. Sentitene anche solo il suono, letizia. Ripetetelo, letizia. Tutte quelle aeree palatali, non sembra che prendano il volo dalle vostre labbra per altri cieli, altri mondi? E invece la letizia è qui, è per noi, è ovunque, è per tutti, non è nell’empireo, è nella terra, disponibile e per niente rara. Letizia è laetum e laetum è il letame. Il letame che allieta la terra, la allieta perché la feconda. Letizia è la natura dell’animo fecondo, beato concime, celestiale ingrasso, e l’umano non ha che da essere lieto per essere umano. E, orsù, chi vuol esser lieto sia, perché dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fior.