Nel latino volgare il fullo era il lavandaio, e il suo lavoro era pigiare e strizzare, calcare e sbattere, strusciare e ancora sbattere. E questa è stata la fatica delle lavandaie fino all’avvento delle lavatrici meccaniche. Ed è stata la fatica dei follatori, gli operai dei lanifici addetti al lavaggio nerboruto delle lane. In effetti questa è la folla, calca, strizzamento, compressione, sbattimento. Possiedo, li ho acquistati a non poco prezzo, sette dizionari, splendidi dizionari ciascuno con il suo carattere, il suo stile, la sua saggezza; nessuno dei sette riesce a darne un’etimologia come si deve, rinvenirne una radice antica, una traccia remota, il fullo e la folla sono nati così, dal niente, sbocciati per propria necessità da un interiore sfregamento. E questo forse ha un senso, la folla non ha memoria perché nasce dal niente. Consulto anche un ottavo dizionario che non ho pagato perché è disponibile gratuitamente sul net, il famoso Pianigiani, poco amato e caldamente sconsigliato da chi se ne intende perché a compilarlo più di cent’anni or sono non è stato un emerito cattedratico, ma un giudice in pensione, un amatore, un appassionato, un fantasioso e un intuitivo, dunque di scarsa attendibilità scientifica. Ma a me il Pianigiani piace, e penso che le parole abbiano diritto alle loro leggende, alle passioni alle fantasie. E il Pianigiani suggerisce un’altra strada, dall’antico tedesco fol, pienezza, abbondanza, che con la folla ci stanno bene. E anche, a orecchio, con folk e volk, popolo, che è molto meglio dello strizzamento e dunque della folla, sempre a orecchio.