Dal latino conversus, participio passato di convertere, cambiare direzione, volgersi, rivolgersi, mutare, ecc. ecc. in tutti i suoi figurati significati. Pur dandomi da fare non ho trovato la radice antica, e me ne dispiace perché cambiare direzione è specifico universale dell’umano. Io mi sono convertito molte volte nel corso della vita e a ragione di ciò so che ho avuto una vita grande e fortunata. Di fatto mi sono convertito a ogni incrocio che ho incontrato sulla mia strada, anche quando ero certo di sapere dove andare e perché; è bastato fermarmi a prendere fiato, a riposare un attimo e considerare direzioni nuove e sconosciute, destinazioni inaspettate, fantastiche, promettenti nel loro mistero, invitanti nelle loro opportunità. È bastato incontrare qualcuno, gli incroci sono luoghi squisitamente deputati agli incontri, un ignoto viaggiatore che si è fermato a prendere fiato assieme a me, a scambiare un saluto, compartire la curiosità, trovarci simpatici, per ripartire assieme per una destinazione inimmaginata. E poi forse dividerci al prossimo incrocio, oppure no, ma stare ancora sulla strada e andare sapendo che l’orizzonte visibile non è mai l’ultimo orizzonte. E so che ancora potrò andare lontano perché infine non so dove andrò. Sì, mi sono volto, mi sono converso molte e fortunate e avventurose volte sulla mia via, l’unica conversione che non ho effettuato è quella che ha fulminato, letteralmente sembra, Saulo sulla strada per Damasco, ma non sempre si incontrano viaggiatori così divinamente contundenti.